Come tributo postumo alle migliaia di palestinesi assassinati a Gaza dall’esercito di occupazione israeliano, tra cui il poeta e scrittore Refaat Alereer, pubblichiamo la sua poesia “Se devo morire” e una recensione di chi è stato deliberatamente assassinato insieme alla sua famiglia. in un bombardamento “chirurgico” della sua casa l’8 dicembre.

Adriana García – 07 Gennaio 2024  – traduzione: Andrés J.

Se devo morire (If I must die)

Di Refaat Alereer

Se devo morire,
tu devi vivere
per raccontare la mia storia
per vendere le mie cose
per comprare un pezzo di stoffa
e alcune cordicelle,
per farne un aquilone
(fallo bianco con una lunga coda)
cosicché un bambino,
da qualche parte a Gaza,
mentre guarda il
paradiso negli occhi aspettando suo padre

che ne andò in una fiamma

senza dare l’addio a nessuno

nemmeno alla sua stessa carne
nemmeno a se stesso
veda l’aquilone, il mio
aquilone che tu hai fatto,
volare in alto
e pensi per un momento
che un angelo sia lì
a  portargli amore.
Se dovessi morire,
che la mia morte porti speranza
fa che sia un racconto da raccontare!

che ne andò in una fiamma

senza dare l’addio a nessuno

nemmeno alla sua stessa carne
nemmeno a se stesso
veda l’aquilone, il mio
aquilone che tu hai fatto,
volare in alto
e pensi per un momento
che un angelo sia lì
a  portargli amore.
Se devo morire,
che la mia morte porti speranza
fa che sia un racconto da raccontare!

Refaat Alereer era un importante poeta, scrittore, professore di letteratura all’Università islamica di Gaza e attivista politico. Conosciuto come “la voce di Gaza”, per essere una delle voci più attive della causa palestinese nella Striscia. Si è dedicato a diffondere le storie dell’assedio sistematico degli oltre due milioni di abitanti di Gaza che vivono e muoiono sotto l’invasione militare israeliana. È stato cofondatore del progetto «We are not Numbers», un progetto per sostenere i giovani di Gaza a diventare scrittori in inglese e poter così connettersi con il mondo per raccontare la realtà quotidiana del loro territorio colonizzato dal sionismo e trasmettere la storia di Gaza. Scrisse: ha scritto in inglese secondo le sue stesse parole, per “valicare le barriere fisiche, intellettuali, accademiche e culturali imposte dall’occupazione». 

Il giornalista e scrittore palestinese Yousef M. Al Jamal, scrisse nel suo articolo di addio al poeta «Omaggio di uno studente a Refaat Alareer, l’amato narratore di Gaza«: «Refaat ha sostenuto che i palestinesi devono mantenere viva la sua memoria e la sua causa e continuare a far conoscere la loro versione della storia. Se smettiamo di raccontare storie tradiamo i nostri antenati.» [1] 

Per questo motivo, dall’inizio dell’offensiva genocida, Alereer percorreva chilometri ogni giorno per accedere a Internet e documentare così, attraverso la rete X, sugli eventi quotidiani a Gaza; denunciare la campagna militare di eliminazione di massa dei palestinesi, la distruzione, lo sfollamento forzato, gli attacchi sistematici alle loro case, ospedali, scuole, università, fogne, reti elettriche, moschee; per mettere in vista «l’impotenza e la disperazione» dei progenitore per non avere modo di proteggere se stessi o i propri figli dagli attacchi persistenti dell’entità sionista. “Le brutalità sono indescrivibili”… “La realtà sul campo è molto più terribile che sui social media. «Non lo meritiamo», ha detto in un’intervista alla BBC. 

Ha raccontato l’angoscia di vivere sotto i continui bombardamenti, senza acqua, senza cibo e il dilemma quotidiano in cui vivono nella Striscia, senza un posto sicuro dove rifugiarsi: «È un’immagine archetipica di una discussione palestinese, è il dibattito sulla possibilità di rimanere in una stanza e così, se moriamo, moriamo insieme.  Oppure se dobbiamo stare in stanze separate così che, almeno qualcuno possa vivere” [2] 

In un’intervista alla CNN, il noto attivista ha descritto il trauma emotivo e fisico subito dai palestinesi e in particolare dai bambini sotto i bombardamenti: 

«Di solito le cose iniziano con assoluta paura i primi due giorni», ha detto. «Questa poi diventa stupore, completa indifferenza, completa accettazione. Se vuoi pregare, ti fermi perché intorno ci sono i bombardamenti. Se vuoi mangiare, smetti di mangiare perché intorno ci sono i bombardamenti». 

Inoltre, ha descritto il senso di comunità, unità e solidarietà che è stato ravvivato tra i palestinesi nel mezzo della devastazione, uniti dall’enorme tragedia e dalla sensazione che potrebbero morire in qualsiasi momento. 

Questa denuncia di Refaat Alereer è un’ampia dichiarazione attraverso altre voci provenienti da Gaza che descrivono la sofferenza dei suoi abitanti a causa dei bombardamenti, oltre a ciò che possiamo avvertire di un po’ di dolore, sofferenza, ansia e trauma psicologico. Migliaia di neonati morti, altri feriti. Orfani, perdono mio padre, mia madre, mio ​​fratello. 

Alcune delle storie pubblicate sui media: “Non posso descrivere la distruzione. Intere famiglie sono state cancellate dai registri civili. Le hanno uccisi sotto le loro case”, mi racconta. “Gaza è completamente distrutta. Abbi pietà di noi. Dice una signora palestinese.[3] 

In questo modo, Hind Khoudary racconta la terribile sopravvivenza nella Striscia: «Abbiamo fame. Siamo intrappolati. Siamo sotto esplosioni, spari, bombardamenti, bombardamenti di artiglieria, fuoco di navi. Tutto, ovunque, tutto allo stesso tempo. Non abbiamo accesso all’acqua, nemmeno a quella sporca, all’elettricità, al cibo, a qualsiasi cosa, le persone sono tese, fragili e infreddolite. Non hanno vestiti invernali; Quando sono evacuati, non hanno avuto il tempo di portare via i loro vestiti, i loro averi, le cose care. Anche io. Quando uscivo di casa, uscivo come se dovessi andare al lavoro e tornavo. Alla fine non sono mai tornato indietro. È tutto straziante e travolgente. Tutti questi neonati, bambini e corpi senza vita…”[4] 

Non volevo lasciare il nord perché la mia casa, le mie cose, la mia vita sono lì. Ho delle bambine molto piccole e non posso portarle tutte e tre in braccio, ma l’esercito israeliano bombarda pesantemente il nord e manda messaggi che ci dicono di andarcene. Alla fine, un vicino mi ha regalato una sedia con le ruote su cui potevo trasportare due ragazze”, racconta un’altra donna palestinese del sud. [5] 

«Poco prima della sua morte, il dottor Allouh ha dichiarato in un’intervista al canale americano Democracy Now che «se vado al sud, chi curerà i miei pazienti? Non siamo animali. Abbiamo il diritto di ricevere cure mediche adeguate. Pensi che che poiché ho studiato medicina con studi post-laurea [nei paesi occidentali] per quattordici anni in totale, penserò solo alla mia vita e non a quella dei miei pazienti? Non ho studiato medicina per quello.»[6] 

Storie tragiche e dolorose che ricordano la Catastrofe o la Nakba; il genocidio, l’espulsione dei palestinesi dalle loro terre, dal loro lavoro, dalle loro case e proprietà nel 1948, perpetrato dai sionisti per occupare e colonizzare il loro territorio. Espulsioni, pulizia etnica, assedi, che sono stati la costante sia a Gaza che nella Cisgiordania occupata, per sradicare gli arabi e popolare quei territori con coloni ebrei. 

Oggi, l’operazione coloniale storicamente sostenuta e legalizzata si ripete, armata fino ai denti e finanziata dagli Stati Uniti e da altri imperialismi dell’Unione Europea, e approvata nel 1948 dall’ONU. Aggravato dal riconoscimento dato da Stalin e la burocrazia sovietica, che portò la sinistra palestinese alla deriva e la Cecoslovacchia governata dagli stalinisti a fornire armi alle milizie sioniste per effettuare la pulizia etnica. 

Come nel 1948, questi imperialismi sono complici del genocidio a Gaza perpetrato da Israele, con il loro totale appoggio e la fornitura di armi che, danno carta bianca alla devastazione dei palestinesi con i continui bombardamenti che hanno cancellato quartieri e intere famiglie in Gaza; oltre all’occupazione, all’assassinio e all’assedio degli abitanti della Cisgiordania. 

Questa catastrofe avviene di fronte alla passività della maggioranza dei “leader” politici e sindacali mondiali che, con poche eccezioni finora, hanno ignorato l’appello rivolto dal movimento sindacale palestinese ai leader dei sindacati mondiali: 

“Questa situazione urgente e genocida può essere evitata solo con un massiccio aumento della solidarietà globale con il popolo palestinese, che possa fermare la macchina da guerra israeliana. Abbiamo bisogno che tu agisca immediatamente ovunque tu sia nel mondo, per impedire l’armamento dello stato israeliano e delle aziende coinvolte nelle  infrastrutture del  blocco  [a Gaza].  Ci siamo ispirati alle precedenti mobilitazioni sindacali in Italia, Sud Africa e negli Stati Uniti, e a simili mobilitazioni internazionali contro l’invasione italiana dell’Etiopia negli anni ’30, la dittatura fascista in Cile negli anni ’70, e altrove dove la solidarietà globale limitava la portata della brutalità coloniale.”[7] 

Una realtà che occorre urgentemente cambiare per passare ad azioni di solidarietà, con determinazione e coraggio. 

È evidente la profonda assenza di un’organizzazione rivoluzionaria internazionale dei lavoratori e degli oppressi del mondo che possa coordinaare de diverse azioni e mobilitazioni di lotta a livello globale, per fermare le atrocità del sionismo e costringere i governi, fondamentalmente delle potenze mondiali, a rompere la sua complicità con la strage. Questa dura realtà presenta l’enorme sfida per i giovani e i lavoratori nel mondo, consapevoli del genocidio a Gaza e la legittimità della giusta offensiva genocida, di costruire cuesta organizazzione mundiale.


1] Omaggio di uno studente a Refaat Alareer, l’amato narratore di Gaza, 18 dicembre 2023.

[2] Un eminente professore e scrittore di Gaza muore in un attacco aereo, settimane dopo aver detto alla CNN che lui e la sua famiglia «non avevano nessun altro posto dove andare». Sana Noor Haq, Abeer Salman, 11 dicembre 2023.

[3] “Gaza è completamente distrutta, abbi pietà di noi”: la dura realtà della vita quotidiana nella Striscia. BBC. 29 novembre 2023.

[4] Ogni giorno da Gaza: ‘Se la morte non verrà dagli attacchi aerei, verrà dalla fame’ Hind Khoudary. 12 dicembre 2023

[5] “Nakba, 2023”: lo sfollamento forzato della popolazione palestinese a Gaza. Olga Rodriguez. El Diario.es. 12 novembre 2023 “Nakba, 2023”

[6]Idem

[7] Appello urgente dei sindacati palestinesi: porre fine a ogni complicità e smettere di armare Israele. https://progressive.international/wire/2023-10-16-an-urgent-call-from-palestinian-trade-unions-end-all-complicity-stop-arming-israel/es

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